Cosa ci insegnano 30 anni di pubblicità green sul National Geographic


Tra il gennaio del 1979 e il dicembre 2008 sono state pubblicate sull’edizione americana del National Geographic 692 pagine identificabili come “green advertising”, cioè che riportavano appelli o messaggi connessi in qualche modo alla salvaguardia dell’ambiente.

Vista la popolarità della rivista e i temi trattati, l’analisi di questo particolare flusso ci dice molte cose su com’è cambiata e si è evoluta la pubblicità green negli ultimi decenni.

Ad occuparsene sono stati tre ricercatori del Penn State’s College of Communications – Lee Ahern, Denise S. Bortree e Alexandra N. Smith che hanno pubblicato un interessante articolo dal titolo “Key trends in environmental advertising across 30 years in National Geographic magazine” sulla rivista Public Understanding of Science.

La maggior parte degli annunci riguardano prodotti e servizi per lo più di grandi aziende di cui sono evidenziati gli aspetti ecologici e la riduzione dell’impatto ambientale, ma non mancano inserzioni di organizzazioni ambientaliste e di categoria.

Negli anni sono cambiati qualità e contenuti del green advertising. Nel primo decennio del periodo preso in considerazione l’aspetto richiamato più di frequente è l’efficienza energetica dei prodotti in quanto il risparmio di energia era un tema al quale l’opinione pubblica era allora particolarmente sensibile.

National Geographic

National+Geographic

Tra il 1989 e il 1998 si assiste invece alla predominanza degli appelli per la salvaguardia degli animali e degli ecosistemi.

La lotta ai gas serra, e in generale i cambiamenti climatici, sono diventati protagonisti nell’ultimo decennio come conseguenza di un’accresciuta attenzione sul tema derivante dall’intensificarsi degli appelli ai governi e all’opinione pubblica da parte della comunità scientifica (un picco confermato anche da un esteso studio sul climate change nell’advertising pubblicato un anno fa dallo Yale Forum on Climate Change & The Media).

Un altro dato molto interessante riguarda il green advertising dei giorni nostri: gli annunci che comunicano la Corporate Social Responsability sono ormai diventati predominanti nel National Geographic, mentre diminuisce il numero delle pubblicità che puntano semplicemente sulle caratteristiche “eco-friendly” di un prodotto.

Pubblicità Green

Pubblicità+Green

Anche sul piano qualitativo la pubblicità green si è molto evoluta negli anni mettendo in secondo ordine la sua funzione informativa, largamente predominante all’inizio, e puntando soprattutto sul coinvolgimento emotivo. Questa è una strategia maggiormente visibile nel corporate-sponsored green advertising – sottolineano gli studiosi – mentre, per contrasto, gli annunci delle organizzazioni ambientaliste tendono a offrire più informazioni e argomenti a sostegno dell’impegno richiesto per la salvaguardia dell’ambiente.

Secondo i ricercatori, il fatto poi che i messaggi corporate superino di gran lunga quelli dei gruppi ecologisti porta questi ultimi a temere che i loro appelli si perdano nel mare di reclame green, che purtroppo hanno molto spesso una mera funzione di greenwashing, con il risultato di finire vittima della diffidenza crescente dell’opinione pubblica per questo tipo di annunci.

Economia mondiale Goots

Economia+mondiale+Goots

La ricerca fornisce infine un’ulteriore prova della correlazione tra il livello di green advertising e la salute dell’economia. Questo è anzi uno degli aspetti che emerge più chiaramente: Ahern osserva che la salvaguardia dell’ambiente è un tema molto più sentito nelle economie più forti e in tempi di maggiore benessere.

In un’epoca di crisi come questo, tende invece a finire in secondo piano lasciando il posto a preoccupazioni ritenute più urgenti come il lavoro e in molti casi la stessa sopravvivenza. Di conseguenza, l’ambiente finisce per essere scalzato anche nelle strategie di marketing, a dimostrazione del fatto che l’aggettivo ‘green’ è molto spesso un’etichetta utilizzata per decorare un qualsiasi business, e non rappresenta come dovrebbe una reale alternativa di sviluppo e, quindi, una via d’uscita dalla crisi stessa.