Come calcolare l’impatto della nostra navigazione sul web?


Torniamo ad affrontare il tema degli sprechi di energia su internet. Ne abbiamo parlato pochi giorni fa qui dando notizia di una nuova ricerca condotta dal Department of Computer Science dell’Università di Bristol. L’argomento è di bruciante attualità e lo studio lo affronta da una prospettiva inedita, portando al centro della questione proprio il ruolo di noi utenti, del nostro comportamento in rete, e le possibili conseguenze che potrebbe avere in termini di maggiore, ma anche (perché no, se aumenta la sensibilità di tutti su questo problema) di minore impatto del web sulle risorse energetiche e sul pianeta.

C’erano alcuni punti, però, che ci interessava chiarire e per questo ci siamo rivolti a Chris Preist, ‘Reader’ presso il dipartimento ‘Computer Science’ dell’Università di Bristol e coautore dello studio. La ricerca, come dicevamo, affronta il problema dell’esplosione della domanda di energia, necessaria ad alimentare la gigantesca ‘nuvola’ di internet, e della sua probabile ulteriore impennata nei prossimi anni a causa della diffusione della banda larga e del successo dei social network, a cominciare da Facebook, di piattaforme di condivisione video come Youtube, di film e musica in streaming, programmi tv on demand, apps che vanno oggi tanto di moda tra i fan dell’iPhone e dell’iPad. Pratiche di cui siamo sempre più ghiotti e che si andranno ad aggiungere (se non proprio a sostituire) alla classica navigazione. Ma che, a meno di un ricorso massiccio alle fonti rinnovabili per fornire di energia e raffreddare i data center e le infrastrutture di trasmissioni di dati (parallelo a un incremento considerevole della loro efficienza energetica in cui – va detto – sono stati fatti notevoli progressi negli ultimi anni), potrebbero creare un grosso problema in termini di distribuzione delle risorse energetiche, oltre naturalmente a fare schizzare in alto i livelli di CO2 nell’atmosfera. Ognuno di noi sarà responsabile di una parte di questo impatto. Ma come quantificarla con esattezza?

Preist ci spiega che la questione è ancora tutta aperta ammettendo la difficoltà di questo genere di misurazioni. “Il calcolo sull’energia necessaria per scaricare un Megabyte (MB) di dati è ancora incerto”, precisa. Basandosi su studi precedenti, Preist e il suo team hanno estrapolato una stima di 4 Wh per MB scaricato nel 2010, “ma – ci dice – non può essere considerata definitiva”.

Altro problema: come ricavare da questo dato la quantità di gas serra corrispondente, cioè quanto abbiamo effettivamente inquinato? Ecco come ci risponde Preist: “Partendo dalla stima di sopra (4 Wh), bisognerebbe considerare il fattore di emissione di CO2 dell’energia elettrica (cioè quanta CO2 viene prodotta per kWh) della zona in cui i server sono situati oppure, al suo posto, una stima globale”. Bisogna tenere presente, però, che il fattore cambia da regione a regione, a seconda del mix di fonti in essa prevalente, mentre l’infrastruttura che trasmette i dati è globale. Perciò è difficile quantificare i gas serra generati dai vari apporti energetici e dagli sprechi lungo il percorso.  “Un grande aiuto – prosegue Preist – potrebbe giungere dall’accesso a dati specifici forniti da provider come Google e servizi web come Amazon, Aol e altri simili, ma – sottolinea – purtroppo a oggi non li rendono disponibili al pubblico”. C’è insomma anche un problema di trasparenza. “Se i vari provider rendessero pubblici i dati relativi alle proprie emissioni, gli utenti avrebbero la possibilità di scegliere quelli che offrono un livello di emissioni più basso per MB scaricato”.

Sull’onda della crescente popolarità di istanze come il ‘green it’, molte società cominciano tuttavia a porsi il problema e stanno studiando soluzioni per ridurre l’impatto dei propri servizi digitali. “Molte società che offrono servizi di hosting si sono lanciate in una competizione virtuosa riducendo le proprie emissioni per attrarre utenti sensibili alle tematiche ‘green’. L’orientamento in questo senso dei consumatori ha già una certa influenza sulle società dell’IT, e queste ultime – conclude – danno sempre più importanza alla loro immagine ambientale e fanno di tutto affinché i loro sforzi per ridurre i gas serra siano visibili alla gente”.