Cloud Computing, da Apple i dati più ‘sporchi’ del web


Clean Cloud Power Report Card (Greenpeace)

How dirty is your data? Ovvero: quanto inquinano i dati che scarichiamo da internet? Per rispondere a questa difficile domanda bisogna tenere conto dei consumi energetici del cosiddetto ‘cloud computing’, la gigantesca nuvola di servizi e applicazioni su internet sempre più affamata di energia e, va da sé, delle fonti utilizzate dai grandi provider della rete (Google, Yahoo, Facebook) per alimentare i data center su cui si poggia. Nel suo nuovo rapporto, intitolato appunto ‘How Dirty Is Your Data’, ci prova Greenpeace sottolineando tuttavia la difficoltà di raccogliere dati attendibili a causa della mancanza di trasparenza dei colossi dell’It che non forniscono molte delle informazioni che ci permetterebbero di misurare i benefici della ‘nuvola’, in termini di virtualizzazione di servizi presenti prima solo ‘offline’ (ad esempio fare la spesa su internet), al netto dei reali costi ambientali prodotti dai centri dati.

“Le società It, – avverte Greenpeace –  che sostengono spesso come la trasparenza sia una parte importante del loro modello di business, sono invece molto parche di dettagli sulle loro operazioni.” Basterebbe invece portarne alla luce solo alcune per scardinare alcuni dei luoghi comuni oggi più diffusi, e cioè che basta accendere un pc e approvvigionarsi su internet dei servizi di cui si ha bisogno per essere ‘carbon free’.

Qualche esempio? Basti pensare che tutte le informazioni che produciamo per officiare ogni giorno i nostri riti informatici – mandare e ricevere email, twettare, aggiornare il nostro profilo Facebook, scaricare video, foto e così via – convogliano verso data center giganteschi, costituiti da interi edifici, pieni zeppi di computer, che ormai richiedono l’1,5-2% della domanda globale di energia (il 3% soltanto negli Stati Uniti), e la cui fame di energia cresce al ritmo del 12% all’anno. Il fatto è che gran parte di questa energia è prodotta col carbone, tra le fonti più inquinanti: e infatti oltre la metà delle società monitorate da Greenpeace dipende dal carbone per un range tra il 50 e l’80% del proprio fabbisogno energetico.

Se internet fosse un paese, occuperebbe la quinta posizione per quantità di energia consumata, subito sotto al Giappone e sopra alla Russia. Purtroppo, però, a differenza degli stati veri e propri, i data center del web si trovano sparsi in giro per il mondo, concentrati per lo più in luoghi dove i provider possono usufruire di incentivi fiscali e l’energia elettrica è molto a buon mercato, benché prodotta da fonti sporche come il carbone. Nonostante gli enormi progressi fatti in termini di efficienza energetica, colossi come Facebook continuano a eludere il problema dell’impatto della rete, continuando a prediligere fonti ‘cheap’ piuttosto che accelerare il passaggio alle fonti rinnovabili.

Nonostante la scarsità di informazioni a disposizione, incrociando dati governativi e documenti provenienti dalle aziende che forniscono energia, Greenpeace è riuscita comunque a stilare una classifica delle società più inquinanti che operano nel settore dell’Information technology. E alla sbarra degli imputati finisce innanzitutto Apple, che sta per triplicare il proprio consumo di energia con l’attivazione di un nuovo impianto alimentato per il 62 % dal carbone e per il 32 % da energia nucleare. L’indice complessivo di dipendenza della società di Cupertino dal carbone è fissato dagli ambientalisti al 54,5%. Seguono a breve distanza in questa classifica poco onorifica, Facebook con un indice di dipendenza pari a quasi il 53%, Ibm (51,6%), Hp (49,4%) e Twitter (42,5%). Tra i ‘buoni’ spiccano su tutti Yahoo! (18,3 %), seguita da Amazon (28,5%), Microsoft (34,1%) e Google (34,7%).